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GazzSport - La Nazionale, cinque anni da disoccupato, il ritorno: perché Donadoni ha scelto lo Spezia

GazzSport - La Nazionale, cinque anni da disoccupato, il ritorno: perché Donadoni ha scelto lo SpeziaTuttoB.com
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Oggi alle 14:30Spezia
Angelo Zarra

Il calcio è un mondo straordinario perché regala sorprese in ogni istante. Chi avrebbe mai immaginato che un ex commissario tecnico della Nazionale, fermo da cinque anni dopo un'esperienza in Cina, accettasse di ripartire con una squadra che, al momento, è ultima in classifica in Serie B? Eppure questa è la realtà: Roberto Donadoni ha detto sì ed è il nuovo allenatore dello Spezia, in nome di un vecchio legame con il presidente del club ligure Charlie Stillitano, che l'ex giocatore del Milan conobbe durante la sua esperienza da giocatore in Mls, nei New York Metrostars. Dentro un pallone che rotola in mezzo all'erba ci sono storie che stupiscono e, per certi versi, incantano. Che un poeta del calcio com'è stato Donadoni da giocatore, tutto dribbling, finte e fantasia, gioia pura per gli occhi del pubblico, vada ad abitare proprio davanti al mare, in quello spicchio di terra che tutto il mondo conosce come il Golfo dei Poeti, è un segno del destino. Il problema, in questo caso, è che, data la situazione della squadra, si dovrà mettere da parte la lirica e badare alla prosa, cioè al sodo e alla sostanza. 

DONADONI ALLO SPEZIA: LA SUA CARRIERA - Ma Donadoni, bergamasco tenace, uno che vive il lavoro come una religione, non si spaventa certo di fronte alle difficoltà. Anzi, sono proprio le difficoltà ad alimentare l'adrenalina. Salvare lo Spezia dalla retrocessione, e magari portarlo in una posizione più nobile della classifica, è la sua nuova missione, e per lui, conoscendolo, se ci riuscirà sarà come vincere la Coppa del Mondo. Vent'anni di esperienza in panchina, dallo splendido Livorno che portò al nono posto in Serie A tra lo stupore di tutti (2005-06), passando per l'avventura sulla panchina della Nazionale, nel biennio 2006-08, con l'eliminazione ai rigori agli Europei per mano della Spagna che avrebbe poi vinto il torneo, e non dimenticando gli anni trascorsi al Parma, con l'ultima stagione (2014-15) vissuta tra campo e aule di tribunale per il fallimento della società finita in bancarotta. Donadoni, però, anche in quell'occasione, è sempre rimasto in piedi sul ponte di comando: schiena dritta, correttezza e onestà al primo posto dei suoi valori, senza farsi illusioni sul futuro e senza immaginare di poter cambiare l'universo. A lui basta essere in pace con la sua coscienza, che è già un passo importante nella vita di un uomo. A scorrere la lista dei nomi degli allenatori dell'attuale Serie A vien da chiedersi: come mai non c'è uno come Donadoni? Bisognerebbe domandarlo ai dirigenti dei club che non lo hanno cercato negli ultimi cinque anni, o non hanno saputo convincerlo con un progetto serio e credibile. Resta un'anomalia che un tecnico come lui debba ricominciare dall'ultima posto della Serie B, ma questo è il calcio.

CHE ALLENATORE E' DONADONI - Tatticamente figlio di Arrigo Sacchi e di Fabio Capello (forse più del secondo che del primo), Donadoni ha dimostrato, nel corso della carriera, di possedere una dote che oggi si fatica a riscontrare negli allenatori: quella di sapersi adattare al materiale umano che gli viene messo a disposizione. Mai stato un integralista, ha schierato le sue squadre con la difesa a quattro o con la difesa a tre, ha chiesto di attaccare quando aveva gli uomini per farlo e ha cercato di limitare i danni quando sentiva che stava arrivando aria di burrasca. Da giocatore lo chiamavano "Osso", perché aveva un carattere duro, difficile da scalfire, per nulla incline al compromesso. La sua riservatezza non è figlia della diffidenza, come qualcuno ha male interpretato nel passato, ma della volontà di capire veramente, fino in fondo, chi gli sta di fronte. È così nell'esistenza di tutti i giorni, ed è così anche nello spogliatoio con i suoi giocatori. Per i quali darà sempre l'anima e sarà sempre un punto di riferimento, anche se sbagliano un passaggio o un gol. Mai sentito Donadoni cercare alibi per una sconfitta, mai che dalla sua bocca sia uscita una critica rivolta pubblicamente a un suo calciatore. In privato, nel chiuso dello spogliatoio, sì. Ma fuori, di fronte a tutti, no. È una questione di rispetto. A Parma, mentre la società dopo l'addio del presidente Ghirardi passava da mani improbabili e anche un po' grottesche (ricordate la telenovela Manenti nella primavera del 2015, ndr), lui, sempre al corrente di ciò che accadeva fuori dal campo, decise di tenere la squadra al riparo dalla bufera: sapeva che nessuno avrebbe potuto evitare la retrocessione, ma c'è modo e modo di retrocedere. Donadoni lo fece con dignità e si tolse perfino la soddisfazione di battere, alla guida di un club che era stato dichiarato fallito da pochi giorni, i futuri campioni d'Italia della Juve. Non si può sapere che cosa riuscirà a fare a Spezia. Logico che il pubblico si aspetti il miracolo, date le credenziali con cui arriva il nuovo tecnico, ma lui consiglierà subito ai tifosi di non sognare, di tenere i piedi ben piantati per terra e di aiutare la squadra in un momento molto difficile. Non lancerà proclami, né getterà fumo negli occhi della gente. Le sue parole-guida saranno: impegno e serietà. Questi due sostantivi, molto più di qualsiasi modulo e di qualsiasi schema, potranno spingere lo Spezia verso il porto della salvezza. E se l'impresa andrà a buon fine, allora sì che il golfo avrà trovato un altro poeta al quale ispirarsi.