GazzSport - Filip Stankovic: "Mi alleno giocando con le luci. Papà un esempio, non un peso. E Mihajlovic..."

Leonardo Carissoni si chiede ancora come abbia fatto. E con lui i tifosi della Juve Stabia, che hanno visto la manona di Filip Stankovic fermare il tiro a botta sicura del difensore, negando ai gialloblù una vittoria di prestigio e regalando al Venezia un punto già pesantissimo, perché conquistato in 10 e in un campo caldo. Anche se ora siamo in Serie B e non in Serie A, il figlio di Dejan è ripartito da dove aveva lasciato, con una prestazione da uomo del match. Nella scorsa stagione è stato il migliore del Venezia in 6 partite. Come Nicolussi Caviglia e Oristanio, ma lui ha giocato solo 15 gare, per via di quella lesione parziale al tendine rotuleo sinistro patita il 1° febbraio a Udine che l’ha tenuto fuori per tre mesi. Un rendimento da top player, che dopo la retrocessione del Venezia lasciava presupporre una sua partenza, magari verso Como. E invece l’ex Inter non solo è stato riscattato, ma ha firmato fino al 2029 e ora guida i lagunari nel difficile assalto alla Serie A.
Filip, come ha fatto a prendere quel tiro di Leonardo Carissoni? Istinto, fortuna, bravura?
"Penso sia stato un po' istinto, un po' bravura. Alleno tanto i riflessi, mi piace farlo. Quel gesto è stato così istintivo che quasi non me ne sono reso conto. Poi guardandolo in tv ho detto 'cavolo, ho fatto proprio una bella parata'".
Come allena i riflessi?
"Gioco con le luci, quelle che si spengono con le mani. E poi uso uno spara-palline da ping pong. Mi metto in difficoltà da solo, mi piace impormi sempre nuove sfide. Ho iniziato a farlo qui a Venezia. Farmi trovare pronto in partita è un premio, anche per lo staff che prepara egli esercizi per me".
L’anno scorso in A ha strozzato le esultanze ai vari Vlahovic, Frattesi, De Ketelaere, Calhanoglu, Thuram. Di quale parata va più fiero?
"Di una che non è stata tanto bella, quanto coraggiosa. Parlo del doppio intervento su Lapadula in Venezia-Cagliari 2-1 e in particolare del secondo, di faccia. Mi è rimasto dentro perché in quel momento ho pensato 'cavolo, se non vado su quel pallone con quel che ho, rischiamo di buttare la partita'. Ma sono legato anche al rigore parato a Lukaku al Maradona. Ha dato tanta fiducia a me e alla squadra, anche se alla fine l’abbiamo persa".
Con il Venezia ha esordito in A contro l’Atalanta.
"Emozione unica. Il mio sogno è sempre stato quello di giocare in Serie A, ed è arrivato così in fretta che non ho neanche realizzato. In campo ero un po’ agitato, nel primo quarto d’ora forse non avevo capito ancora dove fossi e chi avessi davanti. Poi lentamente mi sono lasciato andare e alla fine speravo che l’arbitro non fischiasse più. È stato bello viverlo".
L’infortunio di Udine, invece, come l’ha metabolizzato?
"Udine per me è da cancellare, però è stato anche un punto d’inizio. Quell’infortunio mi ha tenuto fermo un paio di mesi, ma da quei momenti si può imparare tanto. Mi sono tirato su con più forza. E poi so per quale motivo mi sono fatto male, quindi ora starò più attento".
Chi l’ha aiutata in quel periodo?
"Sono tornato a casa. Avevo il tutore, sono stato con i miei fratelli, mia madre e la mia ragazza. Ero abituato a fare allenamento ogni giorno, mi sono trovato a passare due settimane sul divano, diciamo che è stato un po’ impegnativo. Però anche lì, sdraiato, giocavo con le luci, volevo tenere la mente allenata, non volevo perdermi niente. Mi sono comprato pure la macchina spara-palline".
E il tornare in campo quest’anno, come l’ha vissuto?
"Ero pronto già alla fine della stagione scorsa, ma Radu stava facendo così bene che era giusto che chiudesse lui. Il ritorno l’ho vissuto in modo tranquillo, il mister e la squadra mi hanno trasmesso sicurezza, ormai conosco l’ambiente".
Cosa è mancato al Venezia per salvarsi l’anno scorso?
"Se avessi la risposta non saremmo in B... In tante partite abbiamo avuto sfortuna, forse è mancata un briciolo di esperienza. Abbiamo affrontato ogni squadra a viso aperto, non ci siamo mai chiusi dietro, abbiamo sempre giocato il nostro calcio adattandoci poco agli altri. Così è il calcio, pochi particolari fanno la differenza. Ricordo ancora la partita in casa con il Lecce, dominata, ma abbiamo preso un tiro in porta e un gol. Tre punti persi che poi sono stati fondamentali".
Aveva già assaggiato la B con la Samp. Che idea si è fatto finora?
"Ogni squadra è rispettabile, non devi sottovalutare nessuno. La B ha sempre la classifica corta, ogni sabato devi essere al 100% e vincere sempre".
In cosa è diverso Stroppa, da Di Francesco?
"A entrambi piace giocare dal basso, una cosa che a me piace. Poi ogni allenatore è diverso, ognuno ha le proprie idee".
Lavora con Alessandro Plizzari. Sabato giocherete a Pescara, lì lui è un idolo. Che rapporto avete?
"C’è una sana competizione che ci spinge a dare il 100%. Lo rispetto tantissimo, quando ero piccolo nelle giovanili dell’Inter lo seguivo sempre, è sempre stato un ottimo portiere. Ho visto la partita della promozione con la Ternana, gli ho fatto i complimenti perché ha fatto qualcosa che riesce a pochi portieri. Sono felice che sia qui con me".
Non si sente un po’ sprecato in Serie B?
"No. Per me l’importante è tornare in campo. E poi il Venezia ha un progetto molto ambizioso. Rispetto tanto questo club, ha creduto in me e questa cosa non la dimenticherò mai. Non mi sentirò mai sprecato qui".
Quando si potrà dire se il Venezia è tra le favorite?
"A fine campionato. Sono passate due partite, siamo tutte lì davanti ed è lunga. Dobbiamo solo pensare a vincere di sabato in sabato".
Ha mai sognato di giocare in un altro ruolo?
"Sognato no. Da piccolino però giocavo anche fuori, all’Accademia Inter facevo un tempo in porta e uno da attaccante. Da quando mi sono messo tra i pali, però, il ruolo mi è sempre piaciuto. Il mio idolo era Julio Cesar. Per me esisteva solo lui e il ruolo del portiere".
Il fatto di non poter essere confrontato con papà Dejan la solleva?
"Questo non mi è mai pesato. Certo, da bambino trovi sempre qualche genitore che dice parole brutte, ma a me non hanno mai dato fastidio. Anzi, mi davano più forza per dimostrare che non ero un raccomandato, che non ero lì grazie a mio padre".
Sul suo profilo Instagram ha fissato la foto del suo battesimo. Il padrino era Sinisa Mihajlovic.
"Papà lo vedeva come un padre. Sono cresciuti insieme e so quanto rispetto ci sia stato verso lui e la sua famiglia, così come viceversa. Loro due sono sempre stati migliori amici. Anche adesso con i suoi figli ci sentiamo, in particolare con Dusan che ha la mia età. Da Sini poi prenderei tutto quello che ha fatto in carriera, a partire dal suo carattere. Non mollava mai, dava il meglio nelle situazioni difficili. Tutto quello che si dice di lui è vero".
Cosa le ha insegnato papà, del calcio?
"Mi ha dato l’esempio. Quando ero piccolo ci portava a scuola, poi andava ad allenarsi, veniva a prenderci. Il sacrificio è tanto, ce l’ha sempre detto: senza sacrificio non arrivi da nessuna parte. E poi mi ha insegnato a spingermi sempre un po’ più in là. Lo faccio tutti i giorni, anche giocando con le luci".