TuttoSport - Entella, Antonio Gozzi: "Il calcio è un po' folle ma si salverà"
Antonio Gozzi, numero uno di Duferco e di Federacciai, dal 2007 proprietario dell’Entella, entra nel Consiglio Federale come rappresentante della Serie B. Un passaggio che celebra la sua doppia anima di industriale e dirigente sportivo, come da lui dichiarato a TuttoSport: “Ho accettato con onore e piacere. Diciotto anni fa non me lo sarei immaginato: è un orgoglio per il club e per i nostri tifosi”.
Per Gozzi, il calcio italiano è a un bivio. La parola chiave è sostenibilità, perché i numeri non tornano: “In B negli ultimi cinque anni si è bruciato un miliardo di euro, 200 milioni a stagione. Assurdo che, mentre crescono le perdite, aumentino i salari. In nessun settore economico funziona così”. Da qui l’idea di ripartire dalla riforma immaginata da Gravina: “Lo spazio per 100 club professionistici non c’è. Bisogna ridurre la C, con strumenti e agevolazioni da semiprofessionismo”.
Lo scenario che Gozzi immagina è duale: una Serie A “da top europeo”, capace di competere sul mercato globale dei diritti, e una B/C che tornino a essere davvero “il campionato degli italiani”: proprietà stabili e legate al territorio, radicamento nei luoghi, sano campanilismo. “Le nostre categorie rappresentano l’Italia dei cento comuni. L’omologazione al business internazionale lì non è possibile e, soprattutto, mortifica l’originalità”.
Chiavari, per Gozzi, è un laboratorio di questo modello. L’Entella è “più di un club”: oltre 600 ragazzi del vivaio in campo ogni giorno, il lavoro dell’associazione “Entella nel Cuore”, persino un asilo nido aperto alla città. E i sold-out non arrivano con le ‘big’ di A, ma coi derby veri: “Sestri Levante, Spezia, Samp: stadio pieno. Conta l’appartenenza”. Non mancano le soddisfazioni sportive: “Battere la Samp in campionato è stato speciale: tifo doriano magnifico, ma abbiamo meritato”.
Sognare la A? “È molto più difficile di sei-sette anni fa: budget più alti, risorse più scarse. C’è chi in B paga 40 milioni di ingaggi. Noi partiamo con un milione e mezzo in meno di incassi rispetto alla media e i diritti tv, al netto della ‘tassa d’ingresso’, ci portano circa 3,5 milioni. Oggi un centravanti importante in B guadagna 400-600mila netti: dieci anni fa Caputo ne prendeva 180mila e lo vendemmo a 4 milioni”.
Sul perché il sistema non si autorregoli, Gozzi usa il lessico dell’economia: “La teoria parla di ‘comportamenti semirazionali’: ambizione, ricerca di visibilità, paura di fallire. Le tifoserie alimentano la spirale, gli allenatori spesso rischiano poco coi giovani. La via razionale è puntare sugli ‘undervalued asset’: pescare talenti nei campionati inferiori e farli crescere. Così ho fatto nell’industria, nel calcio è più difficile farlo accettare”.
Non tutto, però, è fuori controllo. “Napoli e Atalanta fanno utili, Lotito è in equilibrio. E qualche logica con gli stadi a Milano si intravede”. La metafora finale è navale: “Come nel gigantismo delle navi mercantili, la corsa a ‘fare più grande dell’altro’ crea overcapacity e crollo dei prezzi. Il calcio sta capendo che così si va a sbattere. Ho fiducia: possiamo riportare il pallone sulla rotta giusta”.


