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ESCLUSIVA TB - Caro Entella ti scrivo, Simone Palermo saluta i tifosi: "Mai nessuno come loro, avevo un sogno e adesso..."

ESCLUSIVA TB - Caro Entella ti scrivo, Simone Palermo saluta i tifosi: "Mai nessuno come loro, avevo un sogno e adesso..."
© foto di Federica Roselli
lunedì 5 febbraio 2018, 21:40LE INTERVISTE DI TB
di Nicole Gomena

Un addio inaspettato, quasi senza preavviso, quello di Simone Palermo che all’Entella era diventato l’idolo della tifoseria. Tempo di un ultimo sguardo alla curva dopo il match contro il Novara e poi la rescissione, la trattativa col Lecce sfumata all’ultimo e il ritorno a casa, a Roma, con un nuovo inizio tutto da scrivere, o magari cantare. Sì, perché sembra proprio che quei cori dedicati a lui che partivano da ogni parte dello stadio, risuonino ancora nella testa di Simone, come le canzoni che suona al piano e che da sempre lo accompagnano. Le parole scritte su Facebook invece, non hanno lo spartito per essere accompagnate, ma non per questo avranno trasmesso meno emozioni a chi le ha lette, tifosi e non: ve le riproponiamo seguite dal suo racconto in esclusiva sugli aneddoti della sua avventura in Liguria.

"GRAZIE. È la prima cosa che mi viene da dire.

Avrei voluto darvi molto di piu’ ma non mi è stato reso possibile. In un mondo di persone ipocrite siete la bellezza di questo sport, siete cio’ che lo rende speciale agli occhi di chi gioca solo per passione, sono indifferente a soldi e onori alla carriera, sarei rimasto per sempre. Ieri ho girato per Chiavari cercando di salutare quante piu’ persone possibili, qualcuno mi ha trasmesso calore abbracciandomi forte come si abbraccia un figlio o un fratello, qualcun altro mi ha fatto trasparire il proprio dispiacere con gli occhi oltre che con le parole, molti li ho visti piangere... e avete fatto commuovere anche me che non piango mai. Sarete la favola che raccontero’ ai miei figli un giorno, mi avete dato amore incondizionatamente, avete urlato il mio nome talmente forte in questi due anni e mezzo che se mi trovassi a calpestare un manto sintetico e chiudessi gli occhi.. son sicuro che riuscirei a sentirvi ancora. Io che vi ho conosciuto personalmente solo in questi giorni e che cercavo di tenere le distanze perche non amo che qualcuno possa pensare che giochi ad allisciarmi i tifosi. Conto più di un difetto ma ho una facca sola, i ruffiani e i falsi mi hanno sempre fatto un po’ schifo, per questo abbiate la certezza che tutto cio’ che sto per dirvi mi viene dal cuore.

Non riuscire a concludere la mia carriera qui è l’ennesimo sogno che va in pezzi, non ho mai fatto la pace con i miei demoni... ma mi avete insegnato a conviverci dando un senso a questa mia vita sbagliata.

“E di nuovo cambio casa” cantava un’artista delle vostre parti a me molto caro, speravo che questa volta non mi venisse in mente questa canzone disfando la casa e riempendo bosoni. Nel chiudere la macchina dopo averla caricata ho sentito lo stomaco stringersi e questo vecchio cuore tatuarsi dell’ennesima ferita che il tempo cicatrizzera’. Non so come sara’ svegliarmi domani a Roma, non ho idea di come mi abituero’ all’idea di avervi perso.

È tempo di andare, non disperate perchè e’ passato, sorridete perchè è accaduto, proveró anch’io a fare lo stesso.

È stato bellissimo.

Vi ameró per sempre.

11".

Come ti sei svegliato la prima mattina dopo il tuo ritorno a Roma?

“Non è stato per niente facile, ma in realtà il primo cambiamento l’ho cominciato a sentire la sera che sono tornato da Chiavari e sono andato a cena con mio fratello. È stato strano scendere dalla macchina e non trovare nessuno che mi venisse incontro o mi salutasse come succedeva a Chiavari. Pian piano però mi sto abituando alla normalità delle cose…”.

Cosa passa per la testa di un giocatore svincolato a gennaio?

“C’è amarezza, delusione, confusione. Negli ultimi anni credo di aver fatto qualcosa di buono sia per la maglia che a livello personale, eppure vedi tante trattative concludersi quando invece tu ne resti escluso nonostante l’impegno e i risultati, ho sentito indifferenza verso il mio nome”.

Non si può dire che non avessi mercato: eri a un passo dal Lecce.

“Anche Ternana, Feralpisalò, Pordenone e Padova si erano interessate, ma col Lecce era tutto fatto, c’erano soltanto alcuni dettagli da limare e anche per questo non abbiamo pensato ad altre alternative. Alla fine però, è arrivata una chiamata: la società aveva chiuso per Tabanelli e non c’è più stato il tempo di trovare soluzioni. Che strano, da quando avevo giocato al Via del Mare a 16 anni, ero sempre stato convinto che ci sarei tornato a giocare, è come se il destino avesse invertito la sua rotta in maniera del tutto inaspettata”.

Lasci l’Entella dopo essere diventato l’idolo della tifoseria a cui hai dedicato anche alcune righe su Facebook, rapporti del genere nascono raramente.

“Mi hanno amato incondizionatamente. E dire che, per paura di passare per “lecchino” con loro non avevo mai avuto rapporti, ho avuto modo di guardarli negli occhi soltanto ad ottobre in occasione di uno screzio di una parte di loro con Baraye. Le parti si sono riconciliate e da quel giorno ho avuto modo di tornare per regalare una maglia, un pallone dando vita ad un rapporto di amicizia che non credo si ricreerà con nessun’altra tifoseria, come non credo che un’altra tifoseria riuscirà a fare qualcosa di tanto grande e bello per me. Non dimenticherò mai quando, lo scorso anno a Cesena dopo l’ennesima sostituzione sul più bello al 65’, non hanno smesso di cantare il mio nome per un tempo tanto lungo da far sì che tutti lo notassero. Da una parte avrei voluto sparire perché la decisione del Mister era stata messa in discussione, dall’altra però, è stato un momento così intenso da farmi fare pace con me stesso, aveva colmato ogni vuoto lasciato da una carriera imperfetta”.

A questo proposito, perché parli di una “vita sbagliata”?

“Per un carattere leale ma troppo sincero e forte che poteva essere limato, perché sono passato dalla panchina del match tra Roma e Manchester e all’invito di Pradé a tornare per formare un centrocampo tutto romano agli infortuni subìti dai 18 ai 24 anni e alla decisione di smettere per poi ricominciare dalla C a Gubbio, ma costantemente accompagnato dai “se”: “se avessi fatto di più”, “se ti applicassi di più”, “se fossi più tranquillo”, sentendo di non aver mai fatto abbastanza. Forse è proprio qui e ora che dovevo essere anche se ad oggi non posso sostenere di sapere il motivo per cui le cose accadono, una bellissima canzone di Fabrizio Moro diceva: “Poche volte ti rendi conto mentre vivi un momento che poi sarà speciale”, una frase di cui ho compreso il significato soltanto nel momento in cui ho dovuto lasciare Chiavari, sotto la curva dopo la gara contro il Novara che sapevo sarebbe stata l’ultima e l’ultimo pesantissimo giorno per le strade della città. C’era chi si commuoveva come se fossi stato un parente, in quel momento ti viene da pensare che allora non può essere “solo calcio” ed è qualcosa che rimane per sempre, lì non è più tutto sbagliato”.

Ciò che ti ha sempre accompagnato è la musica, la canti e suoni al piano. Che canzone ti rappresenta, quale rappresenta questo periodo ligure e quale vorresti rappresentasse il futuro?

“Una canzone che mi rappresenta da sempre è “Lampo di vita” di Luca Carboni, chi mi conosce riesce a leggere la mia descrizione tra i versi nemmeno l’autore mi avesse conosciuto di persona! Rivedo i miei anni all’Entella in “Un giorno un po' più grande” di Fabrizio Moro che dice “se hai perso il primo treno, un altro passerà, ma tienimi più stretto in questo giorno un po' più grande” e per quanto riguarda la canzone dei miei prossimi giorni, come il futuro che è un po' un’incognita, è un pezzo che deve ancora uscire”.

A parole invece, ora che succede?

“E’ un periodo in cui ho un po' paura, difficilmente mi è capitato, ma non so ancora quale sarà la mia prossima destinazione. Non ero preparato a tutto questo, avevo deciso nell’ultimo anno di chiudere la mia carriera a Chiavari, magari con un ultimo giro di campo davanti a quella che ormai era diventata la mia gente, per poi tornare a Roma. Non ho mai pensato a un futuro dietro a una scrivania, non sarei io e mi piace troppo vedere il pallone rimbalzare sul rettangolo verde. Magari sarà l’inizio di qualcosa di bello, al momento però non posso saperlo”.

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