CorSport - Juve Stabia, Abate: "L'equilibrio per osare"
È l’uomo del momento in Serie B, ma se glielo dici quasi si schermisce. Ignazio Abate guida una Juve Stabia coraggiosa, organizzata e vincente, in un contesto tutt’altro che semplice: società commissariata, controllo giudiziario, futuro societario da scrivere. Eppure in campo le Vespe viaggiano leggere, sospinte da un’idea chiara: "Ambiziosi con umiltà".
Per Abate non è solo uno slogan, ma una linea guida quotidiana: responsabilità massima, zero alibi. "Vivo questa situazione con grande responsabilità nei confronti di chi mi ha dato questa opportunità. E con sentimento, perché ci metto il cuore da sempre in ogni cosa che faccio". La ricetta, sul piano mentale, è semplice: isolarsi dalle turbolenze esterne e concentrarsi sul rettangolo verde. "Nelle difficoltà è necessario isolarsi e reagire. Le cose in cui non puoi incidere ti portano via energie, quindi occorre non pensarci. Questo deve stimolarci". In questo, sottolinea, il ds Matteo Lovisa è stato decisivo "per impedire che nel gruppo si potessero creare alibi".
In casa, al "Menti", la Juve Stabia è diventata un avversario fastidioso per chiunque: è caduto anche il Palermo dell’amico Inzaghi, e all’orizzonte c’è la Sampdoria. "In casa siamo fastidiosi perché riusciamo a esprimerci con personalità. Dobbiamo migliorare in trasferta, ma i ragazzi sanno che c’è un percorso da fare".
Figlio d’arte – suo padre Beniamino ha difeso le porte di Benevento, Napoli, Udinese, Inter e Cagliari in Serie A – Ignazio è cresciuto nel vivaio del Milan, prima di andare a farsi le ossa nel primo Napoli di De Laurentiis in C, con Ventura e poi Reja in panchina e Pier Paolo Marino dietro la scrivania. Da lì, una carriera con 243 presenze in rossonero e una lunga lista di allenatori da cui "rubare" idee: Reja, Malesani, Allegri, Leonardo, Prandelli, Conte. "Reja è stato un papà a Napoli, avevo solo 17 anni ed era la mia prima esperienza fuori casa. Ognuno mi ha lasciato qualcosa, ma poi devi metterci del tuo. Malesani a Empoli mi ha insegnato tanto dal punto di vista tattico, Allegri è stato un maestro nella gestione. E nel settore giovanile del Milan non dimentico Francesco Bertuzzo e Marino Frigerio".
Il Milan, per lui, è molto più di una parentesi: "Sono diventato uomo in quella società straordinaria. La mentalità e la professionalità le ho apprese lì, così come il senso del dovere e l’etica della responsabilità". A questo si aggiungono i valori di casa: "Sono cresciuto anche grazie a quello che mi hanno trasmesso i miei genitori e i miei nonni. Una fortuna averli avuti".
Curiosamente, da giovane si vedeva più dietro una scrivania che in panchina: "Ero proiettato verso una funzione dirigenziale, sono anche direttore sportivo. Ho fatto il corso per diventare allenatore e ho capito che era quella la mia strada. Sono felice di essere partito dal settore giovanile del Milan, ho ancora voglia di imparare e spero di migliorare con questo gruppo".
La prima prova tra i professionisti è stata la Ternana: una retrocessione da cancellare, un gruppo da rifondare, difficoltà e un esonero che lui vive come esperienza formativa, non come cicatrice. "È stata la mia prima esperienza tra i professionisti. Me la porterò dentro sempre. Siamo ripartiti da una retrocessione con tante difficoltà, con molti che chiedevano di andare via. Poi il gruppo si è formato e abbiamo fatto un torneo di valori morali alti. Si vedevano in campo. Questo resta".
Sul piano delle idee, Abate non è un integralista, ma nemmeno un allenatore che rinuncia a ciò in cui crede. Il suo calcio è intenso, organizzato, costruito su principi chiari. "Credo che esprimersi bene ti dia più possibilità di vincere. La cosa difficile è apprendere a utilizzare il sistema di gioco adottato. Poi occorre sacrificio nei duelli, che dipendono dall’impegno di ogni calciatore".
Non gli piace la parola rigidità: "Non sono un integralista, ma saper riconoscere le fasi di gioco serve tanto. Nel calcio oggi bisogna saper giocare in modo relazionale, non solo posizionale. E senza mai rinunciare al coraggio".
La forza della sua Juve Stabia passa anche da un gruppo compatto, con uno zoccolo duro che ha tenuto la barra dritta nelle ultime stagioni e ha permesso di inserire giovani di valore: Adorante, Floriani Mussolini, Cacciamani, Pierobon. "Penso che i giovani si possano esprimere in un contesto positivo. Serve un gruppo sano e unito. Lo zoccolo duro della scorsa stagione ha dato una grande mano. Abbiamo potuto prendere giovani di talento, ma solo questo non basta: devi infondere fiducia".
Lo sguardo, però, si allarga a tutta la B: "Stabile e Reale, De Pieri e Mannini hanno potenzialità. Cisse è un talento, Berti era già forte". Allora perché tanti ragazzi non trovano spazio? "Il discorso è complesso. Tutti dovremmo chiederci se abbiamo fatto del nostro meglio. Anche le regole dei settori giovanili non aiutano. Io andai in prestito a Napoli a 17 anni: la C è formativa. Le seconde squadre? Sono favorevole se sono funzionali alla crescita dei giovani. L’ossessione dei risultati a tutti i costi con i baby non funziona. Pio Esposito e Camarda giocavano sotto età, ma è così che sono esplosi e oggi sono in A".
I problemi della Nazionale, per lui, non sono solo una questione di annate: "Servono regole diverse e anche spazi più ampi. Se non siamo andati ai Mondiali il problema non è solo generazionale".
Nel panorama della B, Abate cita chi, secondo lui, prova a proporre calcio: "Il Frosinone e il Venezia sono squadre propositive. Stroppa è sempre alla ricerca di un gioco dominante. Alvini ribalta bene l’azione. Noi ci proviamo".
E la Juve Stabia, con il passaggio di proprietà da Langella a Solmate, realtà legata al mondo delle cripto valute? Nessun volo pindarico: "Alla salvezza. Bisogna arrivare velocemente ai 46 punti. Questo torneo è pieno di difficoltà. Meglio non farsi illusioni".


